Sala VII

Crocifisso, arte lignea toscana, seconda metà del sec. XV, di scuola di Giuliano da Sangallo (1445 ca. - 1516).

Madonna in Trono, tempera su tavola di scuola signorelliana, raffigurante la Madonna in trono con Bambino, entro una cornice rinascimentale. Ai lati San Giovanni Battista e San Gerolamo (vestito dell'abito rosso cardinalizio e con ai piedi la testa del leone), e in ginocchio, probabilmente, il beato Giovanni Colombini da Siena, fondatore nel 1365 del convento dei Gesuati a Città di Castello. Sulla predella, suddivisa in tre riquadri, sono raffigurati, da sinistra: San Gerolamo che toglie la spina al leone, una Natività e San Gerolamo penitente dinanzi al Crocifisso. La tavola è datata 1492 e firmata da un Giovanni Battista, di Città di Castello. L'opera proviene dal Convento dei Gesuati. E' di proprietà del Seminario vescovile al quale passò la Chiesa di San Gerolamo nel 1653, quando fu soppresso l'ordine dei Gesuati.

Madonna col Bambino e San Giovannino, tempera su tavola della seconda metà del Quattrocento (ca 1486), opera di Bernardino di Betto detto il Pinturicchio (Perugia 1454 - Siena 1513). La piccola tavola affida ad un linguaggio stilistico composto e severo la narrazione del Cristianesimo nel suo inizio storico e nella densità teologica del suo significato. Delle tre figure, luminose su ampio sfondo, centrale è il piccolo Gesù: in piedi sulle ginocchia di Maria, la madre e la mediatrice, che gli sorregge la mano benedicente, è indicato come il Messia da San Giovanni Battista, che sostiene la scritta "Ecce Agnus Dei", predetto dalle Sacre Scritture, il cui libro Giovanni stringe al petto.

Angelo, due tavole realizzate ad olio, attribuite a Giulio Romano (Roma 1492 (99) - Mantova 1546) e realizzate nella prima metà del XVI secolo. Mostrano le seguenti scritte: "Ecco il promesso re delle genti". "Ascoltatelo dunque e adoratelo". In origine dovevano far parte della decorazione di un altare andato disperso. La forma originaria delle tavole risulta ritagliata forse per rettificare i margini curvilinei delle tavolette rovinate. La composizione delle figure rispecchia la loro appartenenza a scomparti curvilinei, forse di una cimasa di un altare inserito dentro una cappella a volta.

Cristo in Gloria, olio su tavola di Giovanni Battista di Jacopo di Gasparre detto il Rosso Fiorentino (Firenze 1495 - Fontainebleau 1540), è detta impropriamente "la trasfigurazione di Cristo" nella quale nulla si riscontra dell'evento narrato dagli evangelisti. L'opera, realizzata tra il 1528 e il 1530, ha una sua genesi particolare, stando alle informazioni del Vasari. Mentre il pittore vi stava lavorando, gli cadde addosso un tetto, che guastò il dipinto, ed il pittore fu colto da altissima febbre. Rifugiatosi a Sansepolcro e costretto in forza del contratto ad eseguire il lavoro, come adirato, "figurò - scrive il Vasari - un popolo e un Cristo in aria adorato da quattro figure, e quivi fece mori, Zingari e le più strane cose del mondo, e dalle figure in poi che di bontà sono perfette, il componimento attende a tutt'altra cosa che all'animo di coloro che gli chiesero tal pittura" ("Le vite de' più eccellenti architetti; pittori et scultori italiani", Fi. 1906 pp.165-166). Non può che sorprendere la spiegazione semplicistica di una celebre opera, data da un così autorevole critico ed artista. La tavola nella sua originalità e nella sua moderna aderenza al testo evangelico trova la più vera spiegazione nella personalità dell'artista, orientato ad innovare profondamente i codificati schemi pittorici, nella sua esperienza romana e fiorentina e nell'influsso esercitato su di lui da altri artisti, quali il Pomarancio e lo stesso Raffaello. Il giudizio del Vasari non è convincente, perché non coglie tutta la profondità e tutto il calore d'una composizione inattesa, lungamente meditata. La committente Compagnia del Corpus Domini, nel contratto aveva impegnato l'artista a dipingere " un Christo resuscitato e glorioso con la figura della Nostra Donna, con la figura de Sancta Anna, con la figura de Sancta Maria Maddalena, con la figura de Sancta Maria Amptiana (Egiziana); e da basso, in dicta tavola, più e diverse figure che dinotino, rappresentino il popolo" (Contratto per la tavola del Corpus Domini di Città di Castello. Archivio di Stato di Firenze, Archivio Corporazioni Religiose). Solamente per la parte superiore della tavola vennero specificati nel contratto i dettagli, che dall'artista sono stati puntualmente rispettati (Maria Santissima e Sant'Anna alla destra del Cristo e le convertite Maddalena e Maria Egiziana alla sua sinistra); per la parte bassa del dipinto fu richiesta una rappresentazione del popolo. E questa richiesta è stata soddisfatta certamente, anche se in forma così originale da rendere quest'opera di irresistibile modernità. L'originalità e la modernità della rappresentazione del popolo si coniugano felicemente con la piena aderenza al teso evangelico: il Cristo che ha fatto partecipi della sua gloria i santi, promette la medesima gloria a quanti sono dimenticati, ai poveri, e a "coloro - osserva acutamente A. Parronchi - hai quali ha rivolto di preferenza il suo messaggio." (Metodo e scienza: operatività e ricerca nel restauro" Firenze, 1982, pp. 96-99). Nella parte inferiore del dipinto sono infatti raffigurati un negro, una donna che tiene per mano un bambino (di cui si rileva lo studio anatomico), un soldato, uno zingaro baffuto, appena visibile dietro la rocca della donna che tiene il bambino, una venditrice di polli, una figura femminile, di schiena con un bimbo in braccio, una figura di prelato e, infine un giovane, di profilo, che chiude la scena. I critici hanno rilevato l'influenza di Raffaello, specialmente nella donna con la rocca in mano e nelle figure ai lati di Cristo. La forma ottagonale della tavola si deve ad un rozzo, arbitrario taglio, fatto nel 1685 ad insaputa dei canonici, che intentarono un azione giudiziaria contro gli autori. La tavola del Rosso, è stata sottoposta ad un capitale intervento di restauro, terminato nel 1982, nei Laboratori della Fortezza da Basso dell'Opificio delle Pietre Dure di Firenze. Nel 1983 fu posta nella Cappella del Santissimo Sacramento detta il "cappellone" nella Basilica Cattedrale di Città di Castello dove era stata collocata fin dal 1685.

Vaso di marmo del 1521, con decorazioni a bassorilievo e l'iscrizione "Julius Vitelli electus", proveniente da Pieve de' Saddi, dove era utilizzato forse come
fonte battesimale.

Vaso di marmo del 1521, con decorazioni a bassorilievo e l'iscrizione "Julius Vitelli electus", proveniente dalla Chiesa di San Savino dove era utilizzato forse come fonte battesimale.


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